Ci si arriva da Shinjuku o da Shibuya.
Uno di quegli edifici un po' vecchi e pieni di scalette, nè bello nè moderno, ma uno di quelli a cui ci si affeziona con il tempo.
Appartamentino in stile giapponese, a terra tatami un po' consumati e futon da togliere durante il giorno per fare spazio. Tavolino con dei cuscini comodi dove studiare e chiacchierare con gli amici la sera prima di uscire, davanti a una birra e agli immancabili edamame.
Qualche vicino simpatico, qualcuno rompiballe. La signora del secondo piano che si lamenta per il chiasso e il vecchietto della porta accanto che ti regala dolcetti e storie di vita, e ti fa sempre ritardare a scuola la mattina.
Scale che danno sul tetto, uno di quelli piatti che si vedono sempre nei film. Sere e sere passate a chiacchierare e guardare il tempo che passa dall'alto. Tu, un amico, dello shochu e il cielo di Tokyo.
Il piccolo parcheggio davanti all'entrata, dove fermarsi per le ultime chiacchiere prima di andare a dormire. Il distributore automatico dall'altra parte della strada dove rifornirsi di Calpis ogni mattina e l'izakaya all'angolo dove diventi cliente abituale e amico del proprietario.
Conoscere tutte le livehouse e i musicisti del quartiere, partecipare all'awa-odori con i tuoi amici schizzati e tenersi informati sui concerti della scena undergroud andando a vedere i manifesti nel negozietto alternativo dietro la stazione.
"tu non vorresti vivere in un posto così?"
Shimokitazawa non è un quartiere molto famoso, e neanche molto vicino alla zona centrale di Tokyo. E' fatta di stradine strette piene di negozi vintage e di dischi usati, di scarpe e vestiti strani, ci sono i negozietti hippy e quelli afro. Questo posto funziona a modo suo e non c'è niente di scontato. Sono entrata in un negozio di vestiti per ragazze"acqua e sapone" e dentro mettevano musica black metal. Nell'aria c'è musica e mille odori, buoni, strani, forti, terribili.
Le persone che ci trovi sono particolari. Ho visto musicisti e gente che parlava da sola, quindicenni che mi squadravano con diffidenza e vecchi rasta dagli abiti logori che parlavano al cellulare fuori dall'uscita sud. Ragazzine dall'aspetto innocente che entrano eccitate nei negozi di bong, magliette offensive a livelli inverosimili e altre che mi facevano sorridere, tipo una che mi è rimasta impressa che diceva "Jesus Christ fucking died for you!"
Ho trovato un izakaya in un vicoletto marcio vicino alla stazione, il nome era scritto sul muro in piccolo con un pennarello. Era solo un bancone con 6-7 posti, niente aria condizionata, buio e fumoso ma in un modo accogliente. Il proprietario ha 26 anni e ha brindato con me quando mi ha servito la birra. Quando Laurin gli ha chiesto se poteva comprare delle sigarette lì vicino lui ha mollato il bar, è uscito ed è andato a comprargli un pacchetto. Ha un gran televisore con un sacco di dvd incastrati in delle mensole polverose, quando siamo entrati ha messo coffee and cigarettes..c'è un che di surreale a a trovarsi in uno degli izakaya più imbucati di Tokyo a conversare in giapponese con Benigni sullo sfondo.
Siamo solo noi, il proprietario e un altro cliente giapponese, beviamo e parliamo. Verso sera entra una ragazza, capelli scompigliati, trucco un po' rovinato e li sguardo di chi ha avuto una brutta giornata. Ordina una birra chiamando il padrone per nome e si lamenta per il caldo. Continuo la conversazione su Baudelaire che stavo facendo, ogni tanto le lancio uno sguardo, è lì imbronciata che fissa il vuoto.
Quando meno me l'aspetto sento qualcuno toccarmi il braccio, è lei, e ha fatto scivolare qualcosa sul bancone verso di me. Sono due cerotti con sopra dei disegnini kawaii, con pupazzetti e stelline e fiorellini. "It's a present" dice con aria serissima, "if you get hurt, please use".
Da lì cominciamo a parlare, qualche parola in inglese, un po' di giapponese e un po' di francese visto che lei ha vissuto a Parigi. Ogni tanto non riesce a spiegarsi bene e allora le scappa una risatina timida, poi ritorna seria. Le racconto un po' del perché sono lì, lei vuole sapere perché mi piace il Giappone, come tutti gli altri, me lo chiede con quell'aria di chi proprio non capisce. Però non mi dice che parlo bene il giapponese, cosa che invece fanno tutti appena ti sentono dire una parola. Lo apprezzo.
Lei mi racconta che è una fashion designer e che disegna e confeziona costumi per l'opera e cose del genere. Potrei osservarla per ore. Non mi dice perché è di cattivo umore, ad un certo punto la conversazione finisce e lei semplicemente si alza e cambia posto, lamentandosi per il caldo, squadrandomi con lo stesso sguardo infastidito di quando era entrata, come se non ci fossimo mai parlate. Io tengo ancora in mano il suo regalo.
Se fossimo stati in Europa e lei avesse voluto parlare con me, avrebbe potuto chiedermi di dov'ero o dove avevo comprato le mie scarpe, oppure offrirmi una sigaretta o dirmi che le piacevano i miei orecchini.
Invece eravamo in quell'izakaya buio e fumoso di cui non ricordo il nome e mi ha regalato dei cerotti colorati.
Non lo so il perché, ma voglio vivere a Shimokitazawa.
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Prova commento intanto bel post :)
RispondiEliminaSto rileggendo dall' inizio del tuo blog :)
Ma davvero quella tipo aveva una maglia del genere xD io mi sarei buttato per terra dalle risate ahah
Oh, le maglie assurde si sprecano a Tokyo. La peggiore che ho visto è irripetibile, io e i miei amici non sapevamo nemmeno se ridere o no... della serie, humour nero sui disabili O_O
RispondiEliminaBuona lettura! ^^
Credo che sia un incomprensione dell' inglese.
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