Week 48: Conversando Con Gli Oggetti

Andare a Milano è come fare m'ama non m'ama: una volta ti piace, la volta dopo la odi, poi ti piace, poi la odi, all'infinito.

Vicino a me un veneto 50enne comincia a bestemmiare: non esattamente il mio audio preferito per le sei di mattina. Quando viene a sapere che il treno ha 39 minuti di ritardo riprende la valigia e furente scende dal treno, blaterando di aver perso la coincidenza mentre grandinano santi e madonne. Guardo l'orologio, probabilmente la perderò anch'io; sorrido, cosa dovrei fare? Meglio avere le rughe ai lati della bocca che sulla fronte.

Ad ogni nuovo annuncio le facce irritate dei passeggeri assumono ulteriori sfumarure di rosso/bordeaux/viola. E pensare che ero riuscita a farmi cambiare il biglietto gratis dopo che avevo perso la coincidenza, e ora anche questo treno è in ritardo. Di soli 55 minuti, ci scusiamo per il disagio. Io fisso la ragazza seduta di fronte a me che a sua volta fissa il macbook che sta di fronte a lei, non riesco a spiegarmi perché ma mi ispira antipatia. Esaminando i pezzi singoli non sarebbe male, gli occhi grandi, la linea di trucco nero che li contorna, i lunghi riccioli castani e il rasta solitario che le scende sul petto; fisionomia del sud con accento del nord. Ma c'è qualcosa nella sua espressione e nel suo sguardo che me la fa immaginare al supermercato che litiga per la fila al banco del pane. Una di quelle persone che utilizzano spesso espressioni come "ma cosa vuoi?", "oh, come ti permetti?" e "c'ero prima io!" Boh. E' davvero antipatica? Chiedo al dorso del suo macbook, la mela rosicchiata luminescente mi fissa in silenzio.

Birretta e piadina in mano, neanche faccio in tempo a sedermi al tavolo di fronte al bar che arriva una e mi dice "signora, questo è di altro bar. No può mangiare qui". Ma secondo te ha senso fare un bar con dei tavolini fuori che sono di un altro bar?! Sbotto rivolta alla birra. Ma cosa ne vuoi sapere tu, heineken dimmerda. E cerco rifugio sulle scale del duomo.

Ho appena ordinato un cappuccino d'attesa in uno squallido baretto. Il cappuccino d'attesa è quando sei in anticipo per qualcosa e per ammazzare il tempo entri in un bar e bevi un cappuccino. E io sono in anticipo per il mio appuntamento. La schiuma è strepitosa. Sei l'unica cosa bella che mi è capitata oggi, gli sussurro.

"E' da un'ora che parla ininterrottamente, e ancora non si è fermato" mi fa notare l'abbronzato avvocato palermitano seduto vicino a me. Si riferisce ad un logorroico signore seduto due posti più avanti che da quando siamo partiti non la smette di suppliziare il suo compagno di viaggio con discorsi sul lavoro. Poi c'è la ragazza di fronte, che si lamenta con la sua amica perché vuole fare un figlio ma non vuole mollare il lavoro, e però tra noi due è lui quello che guadagna di più, e però il mio lavoro mi qualifica, e io non me la sento di stare a casa tutto quel tempo, sai, non è che abbia un gran istinto materno. E' bruttina, di quelle con una faccia anonima, vestiti anonimi, capelli anonimi. Di quelle che se si tirasse un attimo sarebbe anche carina, e invece non sembra interessata a personalizzare la sua immagine. Poi magari a conoscerla chissà che persona è, però per me ha zero stimolo visivo. E anche quello è un modo per esprimersi e una forma d'arte, dopotutto. Lo diceva anche Joe Strummer, con altre parole che ora non ricordo. Guardo il suo riflesso gesticolante nel finestrino. Ma perché, gli chiedo, se io sono in seconda classe devo sentirmi l'annuncio che a quelli della prima classe sta per essere servito il nonsoché di benvenuto con champagne, bibite, snack e caviale fritto? Perché? A cosa serve? A farmi sentire una pezzente? Lui non mi risponde, si limita a mostrarmi il tramonto. Uguale per tutte le classi.



"Beh, alla fine sono riuscita a fare quello che dovevo fare e ora sono sul treno diretto a casa: non mi sembra un cattivo bilancio dopotutto" penso mentre tento di aprire la confezione del tramezzino termosaldata a pressione con rifiniture in kevlar. Ah, i tramezzini delle stazioni. Progettati appositamente per la fame da stazione. Che non è proprio fame, è più un "il mio treno parte tra 20 minuti e non so cosa fare mentre aspetto". La maionese che mettono nei tramezzini è fantastica. Le uova le ha viste forse una volta in cartolina e si contraddistingue per quel sapore acidulo che permea tutti gli altri ingredienti. Puoi prendere il tramezzino gamberetti&rucola, prosciutto&formaggio, tonno&uova o anche anatra&curry che tanto sapranno sempre tutti di maionese acida. Perfino quelli senza maionese sanno di maionese.

Due posti più in là due 15enni migliori amiche chiacchierano del più e del meno, si capisce subito quale delle due è la leader. Capelli biondi ossigenati, piastrata come se non ci fosse un domani, felpa di quel colore misto azzurroverde, all star dello stesso colore, jeans borchiati- ma borchiati tipo simil rockettara fighetta. Parla veloce mangiandosi le parole. "sai quali sono i miei coloripreferiti vero? Se sei la mia miglioreamica devi sapere quali sono i miei 3coloripreferiti. Daidimmeli". L'altra li prova un po' tutti, ma alla fine ci arriva. Azzurroverde come la felpa, giallo e arancione.

確かに, una lunga giornata.

Tutto questo per dirvi che lunedì sono stata a Milano a fare la richiesta per il visto giapponese, che ho ottenuto. E non senza difficoltà, tra treni in ritardo cartine incomprensibili, moduli pignoli e supercazzole volanti.
Durante le millemila ore seduta in treno ho potuto finire Nana n.2, che era l'obiettivo della settimana. Per questa settimana l'obiettivo sarà scegliere il mio nuovo portatile da comprare prima della partenza. Se qualcuno vuole profondersi in consigli nerd sull'acquisto sappiate che i miei tre requisiti base sono velocità, capienza e schermo fra i 15 e i 17 pollici.

Sorvolerò beatamente sul fatto che nel post precedente avevo augurato con una battuta una settimana poco umida e si è scatenato il demonio e cercherò di illudermi di non avere nessuna colpa. Meglio che stia zitta e che torni alle mie attività altamente intellettuali.












Alzi la mano chi ha fatto almeno una cosa insolita in questi sette giorni.
Io ho esautito gli arti.

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