La pazzia del conte

Dai che ti racconto una storia.
C'era una volta un piccolo paesino nascosto tra i monti della Brianza. Era un grazioso paesino con pochi abitanti, gente che lavorava la terra, raccoglieva castagne e viveva semplicemente. Gli abitanti del paesino però non possedevano le case dove abitavano, tutto il territorio era proprietà di due famiglie, la famiglia Verga e la famiglia Anghileri.


Risuona un beep nel soggiorno della casa sconosciuta. Verona, 05.41.
Waah, che sonno. Apro gli occhi e a tentoni cerco il cellulare. L'orologio conferma che ho dormito tre ore. La sedia a dondolo vicino al divano letto si muove un po', come se un fantasma ci si fosse seduto sopra...gatto, sei tu? La cosa più difficile è staccare la testa dall'amorevole abbraccio del cuscino più comodo su cui abbia mai dormito, ma non voglio farmi trovare ancora in coma, il mio orgoglio di animale notturno ne risentirebbe. Sento dei movimenti, e intravedo il perfetto sconosciuto che entra in cucina con camminata a strascico di pantofole. Mi unisco a lui in una colazione forzata e una breve conversazione tra le fessure degli occhi. Mi dà l'improbabile buongiorno, mi scalda il latte, mi spalma la marmellata sul pane.
Per quanto bello sia crogiolarmi tra le sue coccole, il motivo per cui ci siamo alzati a quell'ora è un altro. Sfida di lavaggio denti in bagno, cerimonia della vestizione, lui si munisce della dovuta attrezzatura fotografica, io della mia fotocamera bridge, e in un momento siamo in pasto all'aria mattutina, pronti per andare a prelevare i nostri assonnati compagni. Con sonno.


Un giorno al paesino arrivò un ricco signore, che possedeva un'impresa edile con la quale aveva costruito strade, autostrade e aeroporti in tutta Italia. Occhiali da sole, cappello bianco, giacca e cravatta, si presentò e disse: "Io sono il grande ufficiale Mario Bagno, conte di valle dell'Olmo. Comprerò questo paesino e lo renderò un posto migliore".


Merda, perché dev'essere nuvoloso? Possibile che ogni volta che esco a fare foto c'è il cielo bianco? Vabbè, pazienza...arriviamo al punto d'incontro con i nostri due compagni, che collassano sul sedile posteriore hand in hand, per metà chiacchierando e per metà dormendo mentre io scelgo un cd per il viaggio.


Correva l'anno 1962 quando, per 22.500.000 lire, il conte comprò dalle due famiglie il territorio su cui si ergeva il paesino, e per cominciare costruì una bella strada che lo collegava con il paese sottostante, cosicché fosse facilmente raggiungibile da Milano. All'inizio gli abitanti erano contenti, perché credevano che i turisti sarebbero arrivati e avrebbero portato soldi e comprato i prodotti della loro terra, ma il conte aveva in testa un progetto molto più grande e folle: avrebbe trasformato il paesino in un paese dei balocchi, e per fare questo non esitò a cacciare tutti gli abitanti dalle loro case e a demolirle, per fare posto a quella che da alcuni fu chiamata "la Las Vegas della Brianza".
Quel paesino si chiamava Consonno.


Arriviamo in un piccolo paesino, ma non è lì. Da quel paesino prendiamo una stradina in salita incastonata tra le case, e man mano che saliamo le case cominciano a diradarsi e scomparire. Iniziamo ad imboccare uno, due, tre tornanti, finché parcheggiamo a bordo strada davanti ad una sbarra che impedisce alle macchine di andare oltre. Ma non è neanche lì. Con lamenti vari cominciamo ad incamminarci a piedi, zaini e borse in spalla, osservati con indifferenza da un pubblico di castagni secchi. Dopo un tempo indefinito la strada si fa piana e lo scheletro graffitato di un edificio ci si para davanti, come una carcassa piena di tatuaggi. Andiamo oltre. Mentre continuiamo per una stradina sterrata, la vallata nebbiosa come panorama e i (troppo vicini) spari dei cacciatori come colonna sonora, degli enormi cartelli ci avvertono che Consonno è il paese più piccolo ma più bello del mondo, e che a Consonno è sempre festa.


Le ruspe lavoravano instancabilmente, il conte faceva costruire e demolire di nuovo in base alle sue idee del momento. E così apparvero un minareto, una sfinge, delle colonne greche, una pagoda cinese, un albergo, una galleria di negozi, cannoni, sale da gioco e da ballo e molto altro. Il conte fece persino abbassare un monte adiacente con la dinamite, per migliorare il panorama. Vennero organizzate feste, serate danzanti ed eventi mondani esclusivi, le luci erano sempre accese a Consonno città dei balocchi.


E' da lì che scorgiamo in lontananza la torre del minareto, ancora colorata dopo tutti questi anni per via delle piastrelle che la ricoprono, o almeno quelle che non sono state rubate. E' sempre sotto un cielo bianco e anonimo che facciamo il nostro ingresso ufficiale nella città dei balocchi.


Gli improbabili lavori dell'impresa del conte però stavano danneggiando il terreno, e presto causarono delle frane sulla strada sottostante. Il lavoro del conte fu denunciato e i giornali cominciarono a parlare dello scempio del piccolo paesino e della follia dei suoi progetti, ma Mario Bagno non si fermò di fronte a nulla e l'ormai irriconoscibile Consonno visse un periodo di grande popolarità.


Davanti a noi cammina un uomo, sacco in spalla e piccolo gruppo di pecore al seguito. Senza degnare di uno sguardo né noi né il minareto oltrepassa noncurante la rete rossa degli inesistenti lavori in corso e si allontana. Sembra essere l'unica cosa concreta rimasta dopo la sorte che è toccata a questo posto. Noi non facciamo parte di questa storia, siamo solo dei fantasmi, noi.
E quando dico "noi" non intendo noi quattro, ma "noi quattro più le altre 10 persone che già si aggirano qui attorno con in mano costose reflex e cavalletti, proprio come noi. Ah. Beh. Piuttosto affollato per essere un luogo abbandonato, in fin dei conti.




Come tutte le novità, presto Consonno perse il suo fascino, e iniziò il periodo del suo declino. I lavori progettati dal conte non furono mai finiti, e il paesino rimase disabitato e abbandonato, vittima del tempo, delle intemperie e dei vandali. La torre del minareto fa ancora capolino fra le montagne della Brianza, un improbabile campanile ricoperto di graffiti che ricorda l'esistenza di quel piccolo paesino, diventato paese fantasma.


In quel momento mi viene uno strano pensiero, il pensiero che in realtà non ci sia poi molto di diverso, parco dei divertimenti era e parco dei divertimenti è rimasto, sono semplicemente cambiati i "clienti". Da turisti spendaccioni a urban explorers e graffitari.




Fine della storia e della giornata: a Consonno rimane una chiesetta, sopravvissuta miracolosamente alla pazzia del conte, e qualche contadino brontolone che si lamenta per la presenza dei fotografi. A me rimangono delle fotografie, ore di sonno arretrate e l'abbraccio più bello mai ricevuto davanti ad un treno in partenza.




Altre foto qui.

1 rockers:

  1. Ho letto tutto, tutto d'un fiato. E` stato come un piccolo viaggio nella memoria di quella bella giornata e un viaggio nel passato di quel paesino dalla storia assurda. Mi e` piaciuto molto come l'hai scritto e sono venute foto molto belle, in particolare mi piace molto quella fatta dalla torre con la frase in primo piano! E si l'abbraccio e` stato proprio un bell'abbraccio :)

    kissu Stilachan!
    lo sconosciuto ^_^

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