Let me take you by the hand...

..and lead you through the streets of Harajuku.




3.00 p.m. vs. 5.00 a.m. 

Mi ricordo di quando leggevo di Tokyo. Harajuku l'avevo snobbata quasi subito. All'inizio pensavo fosse un posto alternativo, poi è finita per sembrarmi sempre di più una brutta copia giapponese della Camden Town di Londra, con aggiunta di ragazzine che il weekend si vestono in modo stravagante per farsi fotografare dai turisti. In qualche modo però, sono sempre rimasta affascinata da questo quartiere, mi dava la sensazione che ci fosse qualcosa di più da scoprire...da capire.
La prima volta che l'ho vista è stato in un'allucinazione. Non dormivo da 30 ore e avevo il dubbio costante di essere svenuta senza essermene accorta, eppure Takeshita street era lì, con una stupida faccia da clown sull'insegna e dei palloncini colorati, un fiume di gente che avrebbe potuto inghiottirmi e sembrava che mi chiedesse "allora? Come ti sembro dal vivo?".
Il ponte di Harajuku non era molto affollato, ricordo sagome colorate che avrebbero dovuto essere persone, e l'ultimo sforzo per conservare quel fotogramma nella mia mente.
Nonostante tutto le immagini del primo giorno, quello senza macchina fotografica, le ricordo bene.
La seconda volta che l'ho vista è stato il giorno dopo. Ci siamo avviati sotto il clown assieme alla folla, colorata e non, studenti-bambini-cosplayer-turisti, non conoscevo loro e non conoscevo te. Ti ho seguito fino ad Harajuku street, e poi ancora fin dentro alla zona residenziale dove di turisti non se ne vedono più. Che case incredibili, qui ognuno ha pensato ad uno stile e ha costruito una casa, si fotta la paesaggistica, tanto Tokyo è fatta così. Un edificio stile vittoriano rosa e bianco vicino ad un casermone grigio, cubico e minimalista. Stile tradizionale Giapponese, stile occidentale. Fiori, cemento, mattoni rossi, plastica. Qualche negozio strano qua e là. In questo posto potrei fotografare qualsiasi cosa.







Ci siamo fermati in un caffè-libreria che vendeva principalmente libri di arte e fotografia, uno di quei posti dove potrei andare ogni giorno a bere un tè e fare discorsi colti con il proprietario.




Non ricordo bene di cosa abbiamo parlato, una di quelle conversazioni tipiche che fai con qualcuno quando ci parli per la prima volta..di tutto. E io non lo sapevo, ma a quanto pare in quel momento stavo distruggendo uno ad uno tutti i tuoi preconcetti.Nice to meet you.




Mi ha chiamata ancora, Harajuku, un pomeriggio in cui ero sola. Ho deciso di farle fare amicizia con la mia macchina fotografica, che non sarà professionale ma almeno ha cercato di guardare un po' oltre la strada principale.










Una sera mi sembra fossimo delusi, credo sia così che è iniziato. Shibuya si era presa gioco di noi e ci aveva rovinato la serata, con la sua stazione affollata dove è un po' stupido darsi appuntamento il sabato sera all'Hachiko exit con qualcuno che non ha il cellulare. Non ricordo davvero come, ma siamo finiti sul ponte di Harajuku a chiacchierare, e io credo di aver perso l'autobus a Kawaguchi quella sera, e di aver diviso un taxi con un attonito salaryman che si chiedeva cosa cazzo ci facesse una 23enne bionda a Mine-Hachimangu. Mi ricordo che ti ho chiamato per raccontarti tutto e tu eri preoccupato per me, e io mi voltavo a guardare questo ometto di mezza età alto un metro e sessanta che molto educatamente faceva finta di non fissarmi e ridevo. E' stato surreale.




Da quella volta, abbiamo iniziato ad andarci sempre. Nel tardo pomeriggio prima di trovarci con qualcuno in qualche izakaya, di sera prima di prendere l'ultimo treno per tornare a casa, la mattina alle 5 dopo una nottata di karaoke..c'era un bar con tavolini all'aperto vicino all'entrata per il tempio, piuttosto raro a Tokyo. Lì facevamo discorsi infiniti, intervallati dalle bestemmie contro  "the fuckin' semi", le cicale che facevano un casino ultrasonico, che ci sono ma non si vedono-e credimi è meglio così perché fanno abbastanza schifo-ma come diavolo ha potuto pensare la Parisi di dedicare una canzone a questi esseri infami?
Verso sera l'entrata al tempio Meiji Jingu viene chiusa, ci sfrattano dal nostro tavolino e noi ci accampiamo sul ponte, nel nostro solito posto, seduti contro il muro a guardare la gente che passa e Shibuya in lontananza, qualche artista di strada, l'angolo fumatori sempre tirato un cesso dopo una certa ora, che il giorno dopo tornava perfettamente pulito, come sempre.
Le musichette e gli annunci del binario sotto di noi scandivano il tempo che non vedevamo passare. Avanti e indietro dal konbini e dalla stazione a rompere le palle all'amico douzo-douzo, a cui bastava dire "toilet" per farsi aprire le porte senza mostrare nessun biglietto. "proprio come in Europa.."
Ogni volta che non si sapeva cosa fare era "ok, so what about we have a beer on the Harajuku bridge first, and then figure out what to do with the night?"
Funzionava sempre.





Era l'unico posto dove il tempo poteva fermarsi, o almeno rallentare, più delle izakaya, più della mia casa. C'è bisogno di un posto così a Tokyo, una città così egoista che non ti lascia spazio per pensare a te, che ti costringe a seguire un ritmo folle per la paura di perderti anche un solo attimo.
Adoravo la sensazione di potermi fermare e riflettere, parlare, osservare. Passavo ore a descrivere quello che vedevo nei tuoi occhi e nel tuo sorriso, tu ascoltavi meravigliato. Mi hai sommerso di parole che mettevano a nudo la tua anima, mentre la gente continuava a passare senza notarci e noi ci chiedevamo se stare lì per terra fosse una cosa da baka gaijin o no.






E' stato l'ultimo posto dove siamo stati prima di andare via, l'ultimo giorno, quel lunedi bastardo come non ne vedevo da tempo. Il giorno in cui abbiamo deciso che se Tokyo doveva tenersi un pezzo di noi, beh, allora anche noi potevamo portare con noi un pezzo di Tokyo.


Di tutti i posti in cui sono stata, non c'è storia. E' quello dove vorrei essere in questo momento.




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