martedì 11 febbraio 2014

Frammenti di Tokyo #2: Non Resta Che Aspettare

E' seduta davanti a me, avvolta da un cappotto grigio di quelli con il collo alto, pantaloni in tinta che mettono in risalto gambe slanciate per una giapponese, postura simmetrica. Ha una borsa leopardata in grembo, che circonda con le braccia allacciando dolcemente le dita. Capelli lisci, morbidi e castani, con appena un po' di ricrescita nera. Fissa dritto davanti a se', ma ha lo sguardo perso nel vuoto. E' molto bella. Sbatte le palpebre.

Sta piangendo.
Una lacrima scende muta e decisa sulla sua guancia. Lei non si muove, il suo corpo pervaso da una calma innaturale. Non singhiozza, non tira su col naso, sta semplicemente li', con la mente in un misto di flashback e catatonia ad aspettare che il dolore passi, come se fosse il treno su cui e' seduta. Sta li' e sbatte le palpebre, e aspetta, lacrima dopo lacrima.

A Ikebukuro una marea di persone scende e io e lei ci mescoliamo a loro. Un paio di salaryman di fretta mi spingono e per un momento le sono vicina, cosi' vicina che potrei sussurrarle parole di conforto all'orecchio, cosi' vicina che potrei abbracciarla, potrei asciugarle le lacrime e prenderla per mano e accompagnarla a casa e prepararle un te' caldo e avvolgerla in una coperta morbida e

"Ultimo treno per Akabane in partenza al binario 4".

La sorpasso e comincio a correre.