lunedì 14 gennaio 2013

In The Hands of Strangers #2

Sto cercando di decidere se mi colpisce di più il fatto che la casa sia gigantesca, che ci sia perfino un giardino sul retro, che su ogni elettrodomestico sia attaccato un adesivo con la scritta "U.S. GOVERNMENT" o che facendo couchsurfing in Giappone sia capitata nella casa di due ufficiali della marina americana.

Zack ha avuto un imprevisto e oggi lavora tutto il giorno, per cui scusandosi ha mandato il suo coinquilino a prendermi alla stazione. Sean viene dalla Californa, ed è il secondo Sean della California che mi capita di incontrare. Siamo andati assieme in uno standing bar. Il nome giapponese ancora non lo so, ma sono dei bar minuscoli dove si sta in piedi, e quello dove siamo stati noi poteva contenere al massimo 4-5 persone. Mentre venivamo affumicati dal gestore che preparava yakitori in continuazione, abbiamo chiacchierato. Mi ha raccontato di cosa fa nella marina e di come è capitato in Giappone, dei suoi colleghi che stavano navigando vicino a Fukushima quando c'è stato lo tsunami. In passato ha vissuto in Cina. Ha un fisico slanciato e un bel portamento, me lo vedo bene in divisa. A tratti facevo fatica a stargli dietro perché parla molto velocemente.
Domani mattina Sean lavora, uscirà presto. Zack è già sulla nave. Io rimango solo per questa notte.


Mi guardo, guardo dove sono finita.
Sto per addormentarmi in un sacco a pelo gigante, sul divano più morbido che voi possiate immaginare nel soggiorno di una casa a due piani in stile giapponese, con le porte scorrevoli e un televisore a schermo piatto più lungo di me. Decido che da quando sono arrivata mi piace, come inizio.
Quando mi sveglierò questa casa piena di stanze vuote sarà tutta per me. Prendi quello che vuoi dalla cucina, mi hanno detto. C'è anche del vino.
Non c'è bisogno che chiudi a chiave quando te ne vai.

mercoledì 9 gennaio 2013

In The Hands of Strangers #1

La mattina in cui sono partita nevicava. Fiocchi grossi e soffici che cadevano senza fretta.
Uscendo per l'ultima volta dal cancello quasi non ho notato la cosa che qualcuno aveva avvolto attorno alla mia cassetta delle lettere.

Reika viene a prendermi tra 10 minuti.
Non ci siamo mai incontrate prima, ma lei ha deciso di ospitarmi per due giorni. Il potere di couchsurfing. E' bella, una bellezza delicata e allegra accentuata da un piccolo neo sulla guancia.Suo marito mi prepara un futon nel soggiorno.
Sono appena arrivata a Tokyo e sto già in casa di due giapponesi a chiacchierare e mostrarci video su youtube come se fosse un giovedì sera qualunque. Mi offrono di entrare nell'ofuro e quando esco io e Sumito, (il marito) suoniamo la chitarra assieme, uno peggio dell'altro, nel tentativo di ricordarci l'assolo di Stairway to Heaven. Anche a lui piacciono le Les Paul.

Fottuto jetlag.
credo siano circa le tre di mattina, e non ho più sonno. Le pareti di questa casa sono veramente sottili... quando Reika si rigira nel letto mi sembra di averla a fianco a me, ma di cosa son fatte ste porte scorrevoli? Forse sono solo degli ologrammi.
Non so che ora sia quando sento bussare alla porta del soggiorno e vedo una collana tribale su una camicia azzurra con dei capelli ricci che mi chiedono se sono sveglia. Ho dormito dalle sette fino all'una e Sumito mi ha aspettata per la colazione. Mangiamo frittelle e bacon, pere e zuppa di miso - Reika cucina da dio, gli dico. C'è in programma un giro di negozi di elettronica per comprare una sveglia a me e un computer a lui.

"Non si incontrano spesso uomini a cui piace fare shopping" butto lì mentre usciamo da un negozio di vestiti che suonava dischi dei Rancid - un segno. A Sumito piace lo stile vintage e mi porta nei suoi negozi preferiti. Al Segafredo di Shinjuku parliamo di donne, uomini e tipi che ci piacciono, di corpi asiatici VS corpi occidentali.
"Come si scrive il tuo nome?"
"E' un nome molto raro, una lettura diversa del nome 純一 Junichi. Si scrive uguale ma si pronuncia diverso. Sumito".
"Ha un significato particolare?"
"Sì... sì, ce l'ha."

Shinjuku è come l'avevo lasciata, colorata e assurdamente incredibile.
Izakaya. Karaoke. Cinquedimattina. In metro scambio sguardi maliziosi con un salaryman carino e lievemente ubriaco, flash e sono sparita. Colazione con donburi da Matsuya.
"And if anyone ever earned the right to party hard as fuck, that'd be you."

Dormiamo tutti fino all'una del pomeriggio. Quando mi sveglio Reika sta preparando il pranzo, a cui mi invita a rimanere facendomi sentire una scroccona molto fortunata.
Comincio a pelare un mandarino e Reika ridacchia. "Come, ma lo peli partendo dai lati? Noi facciamo così..." e infila un dito al centro sul retro, pelando il suo in tre grossi pezzi.
"Ah, dovevo immaginarlo... ovviamente seguite delle regole precise anche per mangiare i mandarini"
Li devi amare, i giapponesi.

Saluto Reika con il suo neo e gli innaturali riccioli di Sumito, trascinando ancora una volta la mia valigia in giro per la fredda Tokyo, direzione Zushi. Direzione boh. To be continued.

Avvicinandomi ho capito che cos'era. Era lì chissà da quando, coperta da un sottile strato di neve.
Una cintura nera, con il mio nome ricamato stopra.

martedì 8 gennaio 2013

Tadaima


Sono appena sbarcata in aeroporto.

Sto aspettando che succeda qualcosa, cercando di dare a questo momento una solennità che non gli appartiene. Sto cercando di capire che cosa provo per poi poterlo raccontare, ma niente. Niente di speciale. Sono in aeroporto e sto andando a prendere il treno, ecco tutto.
Sempre così quando si realizza un sogno. Nel momento esatto in cui ottieni quello che volevi da tanto tempo la mente va in crash. All'improvviso non hai più niente da desiderare e i ricordi di questa nuova condizione non esistono ancora, quindi sei come in un limbo.
Tutta colpa dei film, dove tutto ha un timing perfetto, dove le entrate trionfali si sprecano e soprattutto, dove nessuno si strucca.

Niente entrata trionfale da film americano. Che poi se questo fosse un film americano non sarei qui, sarei come minimo a New York con il tacco dodici e senza valigia che nei film non ce l'hanno mai, e fuori dalla porta ci sarebbe un taxi giallo pronto a portarmi all'angolo tra la 57esima e la Broadway dove Johnny Depp mi sta aspettando con un calice di scotch in mano seduto su una poltrona di velluto rosso di fronte al camino.
Mi riscuoto e sono seduta sullo Skyliner, fissando il buio fuori dalla finestra. E' che in realtà in questi momenti si ha altro a cui pensare, dov'è l'uscita, dove ho il portafogli, quale treno devo prendere, non dimenticare la valigia, devo andare in bagno. La mente va in pilota automatico.
Ci vorrebbe qualcosa che inneschi il processo, un trigger, una botta in testa...

Sospiro.
E lo sento.
Lo respiro un'altra volta. L'odore del treno.

E all'improvviso eccoli i ricordi, sono qui, di nuovo, qui dove volevo essere, e tutto è così vicino lo respiro di nuovo, non sono passati due anni non me ne sono mai andata e ora sto qui non vado da nessuna parte baby.

Non ti ricordavo così, le dico. Sticazzi mi risponde lei, l'ultima volta che sei venuta era piena estate, miracoli non posso farne. Ah, già.
Dai, dillo. Dì il suo nome. Chiamala ora che può sentirti.
Scendo dal mio treno.

Hey... Tokyo?

mercoledì 2 gennaio 2013

Ho De Far Le Valigie

In fondo ho aspettato solo due anni e quattro mesi.

Mi piacerebbe proprio dirvi che la foto qui sotto è presa da internet e puramente dimostrativa, invece si tratta proprio della mia camera.

Domani sarò sopra le vostre teste. 
Oggi mi pianto le unghie nelle braccia e cerco di dormire.
Spero che Tokyo si ricordi di me.

Ittekimasu.

Another year has passed and I'm alright
I lick the salt from my wounds and run into the night.