mercoledì 15 dicembre 2010

Prova a star con me un altro inverno a...

Welcome back, freddo. E con te la mia felpa pelosa, il mio tè mirtillo e vaniglia e la luce giallastra della mia camera dove mi esilio a studiare giapponese.
E le punte dei piedi doloranti e ghiacciate e quella sensazione fastidiosa che ti dà la sciarpa bagnata dopo che hai continuato a respirarci attraverso.
E l'odore di cannella e le schifose torte pseudo-tirolesi piene di canditi e frutta secca e spezie troppo forti.
E le luci e gli addobbi ovunque e i remix delle canzoni natalizie sparate a palla nei negozi con le commesse dalla faccia stanca e

C'è un gran vento fuori dalla finestra, strano. I lampioni della rotatoria di fronte a casa mia oscillano un bel po'. Forse anche loro vorrebbero essere da un'altra parte.

Se agosto è il mese perfetto per fare casini, gennaio è il mese perfetto per schiarirsi le idee. Il freddo ti prende sempre di sorpresa, te lo ritrovi sbattuto in faccia come una domanda esplicita e improvvisa. Con il freddo non ci sono giri di parole. Gennaio è perfetto per viaggiare.
Due anni fa a quest'ora, stavo facendo le valige per l'Australia. E' stato il capodanno più solitario della mia vita, il primo viaggio che facevo completamente sola, e mi ha insegnato un bel po' di cose, sul viaggiare. A Perth il freddo non c'era, era estate, ma il mio cervello ormai era settato su modalità inverno, quindi ho riflettuto un sacco. Nelle nervose notti in bianco da jet lag, che poi in realtà il jet lag era una scusa..quelle mattine in cui mi svegliavo nella casa completamente vuota, un'enorme casa spaziosa calda luminosa piena di stanze dall'altra parte del mondo, con dentro me. La cucina gigante dove mi facevo i toast con la vegemite, la scala a chiocciola, la sensazione stupenda di camminare a piedi nudi sul legno caldo e sulla moquette. La terrazza che adoravo, con le pareti tutte di vetro affacciata sul fiume Swan e lo skyline di Perth.

Il vento sta diventando sempre più forte, leggermente preoccupante. Si sentono rumori sinistri, sono sicura che ha ribaltato tutti i vasi di mia madre.

Un anno fa avevo l'America nella testa, e un biglietto per la Finlandia in tasca.
La sera che sono arrivata a Tampere mi hanno portata in un locale, e siamo tornati a casa a piedi alle 2 di notte con -20 gradi. Sapevate che con -20, quando respiri ti si depila il naso? Davvero, si ghiacciano tutti i peli dentro, è una sensazione stranissima. E ti si cristallizzano di ghiaccio anche le ciglia. Mi manca quel freddo. La neve era così tanta che copriva tutto, come se volesse togliere tutte le distrazioni. Il silenzio era così intenso che era impossibile non sentire i propri pensieri, anche quelli più nascosti.

Che freddo ai piedi. Vorrei che questo vento la smettesse.

In questo momento, sono indecisa tra scegliere la cartella nera oppure lo zaino grande rosso da backpacker, lanciando maledizioni a Ryanair che mi farebbe pagare una bazzecola come 30 euro in più per un bagaglio da stiva. Eppure mi ero ripromessa di non comprare mai più un volo con quella compagnia di aerei di plastica. Ma un'offerta è sempre un'offerta, e Dublino ormai mi sta aspettando.
Non so bene cosa mi abbia spinta a desiderare di viaggiare da sola questa volta, ma sento che sarà una buona cosa per me. E non solo perché mi permetterà di affinare la mia tecnica di lettura di cartine, o quella dell'uscire-da-un-negozio-senza-proseguire-per-dove-si-è-arrivati, o quella dell'evitare la conversazione con il vicino rompiballe in aereo, pensando intensamente "sono un bracciolo-sono un bracciolo-sono un bracciolo".
Più sto qui, e più mi sembra di stare guardando tutto da fuori. La gente che conosco, i posti che vedo ogni giorno, tutto quello che succede attorno a me. Ho bisogno di qualcosa che non conosco, un posto dove entrare per poi uscire subito, un posto vero, non quest'aeroporto dove sono adesso, in attesa, dove ho chiuso fuori tutto. Questa volta sono io che voglio una porta girevole.
Ho bisogno del mio abituale mindfuck invernale.







Sarà che è sempre tutto
Uguale
Uguale

-T.A.R.M.-

martedì 16 novembre 2010

I'm from a small town in the Dolomites, you probably never heard of it

Stai andando a prendere tuo fratello a scuola, la circonvalla è vuota. Oggi c'è un cielo blu che se ne sbatte del novembre inoltrato, e tu pensi finalmente.
Lo sguardo inizia a vagare e cade sul campanile e sui tetti del tuo paesino, il giallo il rosso il verde degli alberi ovunque. Guardi dritto davanti a te e, avvolte dall'autunno, loro sono lì, al loro posto, dannatamente belle.
E la domanda che sorge in questi momenti è sempre la stessa: "che cosa c'è che non va?"
Ti torna in mente quella volta quando eri in Finlandia, e scendevi dalle scalette sommerse dalla neve giù dall'unica collina di Tampere.
"Miina, lo sai che vivi in un posto stupendo?"
"haha. Sì beh, la collina è un posto un po' VIP dove vivere, siccome è fuori dal centro ci sono tutte le casette di legno colorate con il camino eccetera, un po' come te l'aspetti. Ma in realtà le case vere giù in città sono diverse...qui è un po' come vivere in una cartolina".
E pensi. Ma vivere in una cartolina..non è un po' un controsenso?

Ecco cosa c'è che non va.


I got so many problems

and they weigh on my mind
I don't solve 'em, no, I just cause them
and they weigh on my mind
-Transplants-

mercoledì 10 novembre 2010

Get addicted

Da quando ci siamo incontrate mi hai spinta al limite di tutto, vuoi farmi provare tutti gli estremi.

Non capisco nemmeno se sono io ad essere avida di te o se sei tu a volere disperatamente tutte le mie attenzioni.
Ho visto strade infinite costellate da persone luccicanti, vicoli e treni infestati da marionette barcollanti in camicia e cravatta. Sono salita in alto per vederti meglio per vederti tutta, ma sei troppo immensa, Tokyo, sei ingestibile.
Ricordi quelle notti in cui mi devastavo per te? Non avrei mai voluto dormire, non volevo perdere neanche un istante. Arrivavo sempre al limite, e ogni volta era così bello, sapere che non avevo sprecato neanche un secondo. Andavo avanti, sveglia sveglia sveglia fino alla fine, finché letteralmente, invece di addormentarmi svenivo.

Penso a due tatuaggi uguali. Uno ha fatto un male indescrivibile, l'altro non poi così tanto. Uno è già guarito da un pezzo, l'altro ci sta mettendo molto di più. Come i miei pensieri che non vogliono staccarsi da te. 




Some people are poison
under my skin like opium
and I'll stare in their eye to annoy them
well they're poison, yeah they're poison

mercoledì 3 novembre 2010

Why not?

Se quella volta mi fossi fermata.
Se quella volta non avessi voluto rischiare.
Se quella volta avessi rimandato.
Se quella volta avessi avuto paura.

Non avrei visto quella stupenda isoletta del Western Australia dove io e Gem bevevamo sedute sul prato, con un pavone che camminava dietro di noi e i quokka che volevano mangiarmi le dita

Non avrei mai testato i miei limiti, quando il più proibito dei miei desideri è passato da 13.000 km a due millimetri esatti dalla mia bocca e ho fugato ogni dubbio con un "get the fuck out of here"

Non mi sarei trovata a mangiare toast con la vegemite in un paesino in culo alla Baviera

Non sarei finita a Tampere a casa di una finlandese mezza estranea conosciuta cinque mesi prima in Inghilterra a fare la sauna nude nell'inverno più freddo e più sensato della mia vita

Non avrei vissuto l'estate più pazza e malata di sempre, un delirio lungo da maggio a settembre, iniziata con una notte in bianco e finita con un'overdose di redbull

Non mi sarei ritrovata in un letto di un'enorme casa australiana a bere coca-cola alle 3 di notte cercando di ignorare la persona che era nella stanza vicina alla mia, imparando lezioni di vita

Non avrei passato cinque giorni gratis a Londra dormendo in uno squat

Non avrei un tatuaggio fatto da un tatuatore di yakuza

Non avrei preso l'accento australiano

Non avrei perso l'accento australiano e preso un po' di accento californiano

Non avrei perso l'accento californiano e preso quello britannico

Insomma non avrei un accento inglese osceno, indefinito e in costante mutamento in base alle persone con cui parlo

Non starei imparando il giapponese da sola

Non avrei preso quei colpi all'orgoglio e quella notte sarei stata a casa mia a dormire, invece che in un bagno tedesco a piangere

Non avrei fatto incubi in cui persone tradite mi picchiavano

Non avrei mai imparato ad amare il cider e non avrei passato degli agosti stupendi al rebellion festival

Non avrei mai imparato come si viaggia davvero

Non avrei mai fatto una cosa così stupida come sfidare Tokyo a chi stava sveglia più a lungo

Non sarei mai capitata in una delle discoteche più grandi di tutta l'Asia (io che ADORO le discoteche)

Non avrei imparato ad ammettere i miei errori the hard way

Non mi sarei mai addormentata con un brasiliano nella stazione della metro di Piccadilly Circus

Non avrei mai passato quella serata con un ragazzo fighetto e un po' poser che dopo mesi ho scoperto essere il fidanzato di Kelly Osbourne

Non avrei un ricordo così forte della canzone "for you" degli Anti Nowhere League

Non starei tutto il giorno a giocare con il mio piercing londinese

Non avrei fatto tutto quel male a chi non se lo meritava

Non avrei mai capito che in due mesi mi stavo fottendo l'identità

Non avrei conosciuto un mitico ometto circa-quarantenne di L.A. ma clandesetino in Inghilterra con due creste e piercing perennemente infettati di nome Troll

Non avrei vissuto mesi con tre fusi orari diversi perché le persone che volevo vedere erano sempre in un continente diverso dal mio

Sognerei solo in italiano

Non avrei problemi di traduzione da quando penso a quando parlo

Non capirei niente, ma niente, niente, NIENTE della vita

Odierei ancora le persone

Non avrei mai scoperto che la selezione di birre che hanno nei pub a Bruxelles non è molto più vasta di quella che ha il Fabio al Sangrillà

Non mi si sarebbe bloccata la crescita a sentire due norvegesi che raccontavano barzellette sui bambini morti

Non sarei rimasta fregata, ma talmente fregata che riderei perfino, se non fosse che quella che è stata fregata sono appunto io

Non avrei mai imparato quella figata di drinking game che è Dreizen

Ai Rancid non fischierebbero le orecchie così spesso
Non avrei mai sofferto. Non avrei mai vissuto.

"Dove finisce la noia, lì 
Inizia un mondo difficile."

martedì 2 novembre 2010

Voglio vivere a Shimokitazawa.

Ci si arriva da Shinjuku o da Shibuya.
Uno di quegli edifici un po' vecchi e pieni di scalette, nè bello nè moderno, ma uno di quelli a cui ci si affeziona con il tempo.
Appartamentino in stile giapponese, a terra tatami un po' consumati e futon da togliere durante il giorno per fare spazio. Tavolino con dei cuscini comodi dove studiare e chiacchierare con gli amici la sera prima di uscire, davanti a una birra e agli immancabili edamame.
Qualche vicino simpatico, qualcuno rompiballe. La signora del secondo piano che si lamenta per il chiasso e il vecchietto della porta accanto che ti regala dolcetti e storie di vita, e ti fa sempre ritardare a scuola la mattina.
Scale che danno sul tetto, uno di quelli piatti che si vedono sempre nei film. Sere e sere passate a chiacchierare e guardare il tempo che passa dall'alto. Tu, un amico, dello shochu e il cielo di Tokyo.
Il piccolo parcheggio davanti all'entrata, dove fermarsi per le ultime chiacchiere prima di andare a dormire. Il distributore automatico dall'altra parte della strada dove rifornirsi di Calpis ogni mattina e l'izakaya all'angolo dove diventi cliente abituale e amico del proprietario.
Conoscere tutte le livehouse e i musicisti del quartiere, partecipare all'awa-odori con i tuoi amici schizzati e tenersi informati sui concerti della scena undergroud andando a vedere i manifesti nel negozietto alternativo dietro la stazione.


"tu non vorresti vivere in un posto così?"

Shimokitazawa non è un quartiere molto famoso, e neanche molto vicino alla zona centrale di Tokyo. E' fatta di stradine strette piene di negozi vintage e di dischi usati, di scarpe e vestiti strani, ci sono i negozietti hippy e quelli afro. Questo posto funziona a modo suo e non c'è niente di scontato. Sono entrata in un negozio di vestiti per ragazze"acqua e sapone" e dentro mettevano musica black metal. Nell'aria c'è musica e mille odori, buoni, strani, forti, terribili.
Le persone che ci trovi sono particolari. Ho visto musicisti e gente che parlava da sola, quindicenni che mi squadravano con diffidenza e vecchi rasta dagli abiti logori che parlavano al cellulare fuori dall'uscita sud. Ragazzine dall'aspetto innocente che entrano eccitate nei negozi di bong, magliette offensive a livelli inverosimili e altre che mi facevano sorridere, tipo una che mi è rimasta impressa che diceva "Jesus Christ fucking died for you!"
Ho trovato un izakaya in un vicoletto marcio vicino alla stazione, il nome era scritto sul muro in piccolo con un pennarello. Era solo un bancone con 6-7 posti, niente aria condizionata, buio e fumoso ma in un modo accogliente. Il proprietario ha 26 anni e ha brindato con me quando mi ha servito la birra. Quando Laurin gli ha chiesto se poteva comprare delle sigarette lì vicino lui ha mollato il bar, è uscito ed è andato a comprargli un pacchetto. Ha  un gran televisore con un sacco di dvd incastrati in delle mensole polverose, quando siamo entrati ha messo coffee and cigarettes..c'è un che di surreale a a trovarsi in uno degli izakaya più imbucati di Tokyo a conversare in giapponese con Benigni sullo sfondo.
Siamo solo noi, il proprietario e un altro cliente giapponese, beviamo e parliamo. Verso sera entra una ragazza, capelli scompigliati, trucco un po' rovinato e li sguardo di chi ha avuto una brutta giornata. Ordina una birra chiamando il padrone per nome e si lamenta per il caldo. Continuo la conversazione su Baudelaire che stavo facendo, ogni tanto le lancio uno sguardo, è lì imbronciata che fissa il vuoto.
Quando meno me l'aspetto sento qualcuno toccarmi il braccio, è lei, e ha fatto scivolare qualcosa sul bancone verso di me. Sono due cerotti con sopra dei disegnini kawaii, con pupazzetti e stelline e fiorellini. "It's a present" dice con aria serissima, "if you get hurt, please use".
Da lì cominciamo a parlare, qualche parola in inglese, un po' di giapponese e un po' di francese visto che lei ha vissuto a Parigi. Ogni tanto non riesce a spiegarsi bene e allora le scappa una risatina timida, poi ritorna seria. Le racconto un po' del perché sono lì, lei vuole sapere perché mi piace il Giappone, come tutti gli altri, me lo chiede con quell'aria di chi proprio non capisce. Però non mi dice che parlo bene il giapponese, cosa che invece fanno tutti appena ti sentono dire una parola. Lo apprezzo.
Lei mi racconta che è una fashion designer e che disegna e confeziona costumi per l'opera e cose del genere. Potrei osservarla per ore. Non mi dice perché è di cattivo umore, ad un certo punto la conversazione finisce e lei semplicemente si alza e cambia posto, lamentandosi per il caldo, squadrandomi con lo stesso sguardo infastidito di quando era entrata, come se non ci fossimo mai parlate. Io tengo ancora in mano il suo regalo.
Se fossimo stati in Europa e lei avesse voluto parlare con me, avrebbe potuto chiedermi di dov'ero o dove avevo comprato le mie scarpe, oppure offrirmi una sigaretta o dirmi che le piacevano i miei orecchini.
Invece eravamo in quell'izakaya buio e fumoso di cui non ricordo il nome e mi ha regalato dei cerotti colorati.

Non lo so il perché, ma voglio vivere a Shimokitazawa.



giovedì 14 ottobre 2010

"Guarda che per un po' non la troverai a casa. E' sempre all'ospedale delle anime a far visita al suo orgoglio, hai sentito?
Si è schiantato mentre andava a 300 all'ora..brutta storia.
No, dicono che col tempo guarirà."


Curioso come il fabbisogno di persone di qualcuno cambi a seconda del suo umore.
Ci sono delle volte in cui hai un bisogno estremo di avere vicino una persona a cui tieni, che conosci, che ti conosce. Che sa il perché delle tue reazioni. Che sa, delle tue debolezze e dei tuoi problemi. Che sa cosa fare per farti stare meglio. La sua presenza ti fa sentire te stesso.

Invece a volte essere te stesso è troppo difficile di fronte alle persone che ti conoscono, proprio perché sanno troppo. A volte vuoi solo stare con qualcuno che non sappia, che non ti conosca, un estraneo. Qualcuno a cui non c'è bisogno di giustificare niente, che ti conosca solo per come sei in quel momento. Ti fa sentire più leggero, come se potessi far venire a galla solo le parti di te che preferisci.

Infine ci sono i momenti dove stai bene semplicemente da solo. Quando attorno a te non hai bisogno di altro che del vuoto. Quando le frasi che hai da dire non sono per nessuno, vanno tenute lì, vorticanti dentro la tua testa.
Quando vuoi osservare. Quando il tuo confidente silenzioso diventa il mondo esterno.

Sta arrivando il freddo, sono tempi duri e io mi sento indestructible.
Sto bene, ma in una maniera strana.

lunedì 11 ottobre 2010

E tu? Qual è la cosa per cui preghi ogni giorno?

Tokyo è una città, ma non ha un centro.
Qualsiasi cittadino italiano o europeo sarà certamente abituato alle città con i centri, dove di solito c'è un duomo, o un palazzo, o un qualsiasi monumento costruito svariate centinaia di anni prima che se ne sta lì, nel 2010 come nel 1600, e osserva silenzioso i ragazzini che mandano messaggi dall'i-phone come guardava le carrozze dei nobili passare 400 anni prima. E da lì parte il centro della città.
Tokyo non ce l'ha un centro, e questa è una cosa che per me fa una differenza enorme. Tokyo è nata da un insieme di villaggi, ognuno con i cazzi suoi, che sono stati agglomerati a formare quello che oggi si presenta come un gigante frullato di frenesia umana. Spettacolare.
Quindi succede che quei villaggi adesso sono dei quartieri, ognuno con il suo stile e i suoi negozi e la sua gente e la sua musichetta personalizzata nelle fermate della metro, altro che duomo. In base al tuo umore e a quello che hai voglia di fare scegli il quartiere dove andare. Tipo, vuoi fare shopping di vestiti, vai a Shibuya. Vuoi qualche ultimo ritrovato tecnologico o roba da geek o anime-related, vai ad Akihabara. Vuoi vedere stranieri, vai a Roppongi. Vuoi vedere Templi, vai ad Asakusa. Vuoi perderti, vai a fucking Shinjuku. Eccetera. Potrei andare avanti per ore, e non ho ancora elencato niente. Chi è stato a Tokyo sa cosa intendo.
Quando sei qui è inevitabile, dopo un po' cominci a capire come funziona, e inizi ad avere il tuo posto preferito per tutto.

E alla fine succede così, che giorno dopo giorno lo decidi tu, qual'è il centro della città.

Ed era Shibuya, con quell'incrocio dov'è cominciato tutto. La mia storia con Tokyo.
Era quel karaoke di Shinjuku dove cantavo seduta sul davanzale della finestra le mie ballate rock ai grattacieli luccicanti che c'erano tutt'intorno.
Era il ponte di Harajuku, dove è cominciata una storia diversa. Dove le parole e il sapore di Asahi in bocca contavano più di quello che succedeva nel mondo reale.
Era quello scantinato insospettabile sotto i palazzoni di Kabukicho, con i divanetti neri e i riff di chitarra e tutte quelle persone vere. La dimostrazione della potenza della musica.
Era la terrazza della scuola da dove  sfidavo il caldo rovente per 10 minuti di svago. E le risate migliori della mia vita.
Era il piccolo parcheggio davanti alla Sakura house di Shin Okubo, con le hanbaiki e i neko-chan, e Nick che spuntava fuori nelle ore più assurde con dello shochu alla frutta o dei fuochi d'artificio. Quella sera che andavo in giro a piedi nudi.

Ho salutato prima lui, e Tokyo per ultima. Non avevo idea del poco che ci avrebbe messo la mia vita "vera" a prendermi a pugni in pieno viso, mentre correvo per non perdere un treno su cui neanche volevo salire. Sull'ultimo binario della mia vita tokyota, mi ricordo il caldo il sonno le occhiatacce a degli italiani casinisti. Il viaggio di ritorno è confuso, non mi sono presa la briga di fissarlo nei miei ricordi. Ma c'è un momento che mi è rimasto impresso. Ero a Roma, aspettavo il volo per Venezia. Al gate mi sono automaticamente seduta nell'angolo più lontano da tutti, per terra vicino alla vetrata come piace a me, anche se questa volta non guardavo il cielo. Ho tirato fuori il mio cellulare giapponese e l'ho acceso. La foto del ponte di Harajuku è comparsa ancora una volta sullo schermo, così come l'avevo vista ogni giorno. Ma al posto delle tacche di ricezione del segnale, un crudele OUT mi tagliava fuori dalla mia vita giapponese.

Mi sento OUT da tutto. Gente che mi passa accanto, mi prende e mi trascina prepotentemente nella sua vita per tappare un buco e poi mi ributta fuori. La costante sensazione di essere costretta ad indossare una maschera. E la rabbia nel vedere come chi sembrava mio alleato si è già adeguato, senza sforzi. Non ha più ricordi.



I could not fit in
I was the one who got caught
I was the one who got realized
I was the one who got dropped
shut up, banished, locked away
the knife that did me in, I carry to this day.
REJECTED

crossing bridges in the land of the forgotten.


sabato 9 ottobre 2010

誕生日 Tanjoubi

Dunque, nel lontano..................quando avevo 14 anni, ho ascoltato per la prima volta i Blink 182. Perché i Blink 182 sono un gruppo che va ascoltato quando hai 14 anni, è così, come la prescrizione del medico, forse c'è scritto anche sui loro cd. "ascoltare entro e non oltre anni 14 dalla nascita".

Oggi, 9 ottobre 2010, 9 anni dopo. E' un giorno importante. Perché oggi, 9 ottobre 2010, a partire dalle ore 00.01, acquisisco finalmente la facoltà di poter cantare questa canzone con cognizione di causa:



...nobody likes you when you're 23...

sabato 2 ottobre 2010

Let me take you by the hand...

..and lead you through the streets of Harajuku.




3.00 p.m. vs. 5.00 a.m. 

Mi ricordo di quando leggevo di Tokyo. Harajuku l'avevo snobbata quasi subito. All'inizio pensavo fosse un posto alternativo, poi è finita per sembrarmi sempre di più una brutta copia giapponese della Camden Town di Londra, con aggiunta di ragazzine che il weekend si vestono in modo stravagante per farsi fotografare dai turisti. In qualche modo però, sono sempre rimasta affascinata da questo quartiere, mi dava la sensazione che ci fosse qualcosa di più da scoprire...da capire.
La prima volta che l'ho vista è stato in un'allucinazione. Non dormivo da 30 ore e avevo il dubbio costante di essere svenuta senza essermene accorta, eppure Takeshita street era lì, con una stupida faccia da clown sull'insegna e dei palloncini colorati, un fiume di gente che avrebbe potuto inghiottirmi e sembrava che mi chiedesse "allora? Come ti sembro dal vivo?".
Il ponte di Harajuku non era molto affollato, ricordo sagome colorate che avrebbero dovuto essere persone, e l'ultimo sforzo per conservare quel fotogramma nella mia mente.
Nonostante tutto le immagini del primo giorno, quello senza macchina fotografica, le ricordo bene.
La seconda volta che l'ho vista è stato il giorno dopo. Ci siamo avviati sotto il clown assieme alla folla, colorata e non, studenti-bambini-cosplayer-turisti, non conoscevo loro e non conoscevo te. Ti ho seguito fino ad Harajuku street, e poi ancora fin dentro alla zona residenziale dove di turisti non se ne vedono più. Che case incredibili, qui ognuno ha pensato ad uno stile e ha costruito una casa, si fotta la paesaggistica, tanto Tokyo è fatta così. Un edificio stile vittoriano rosa e bianco vicino ad un casermone grigio, cubico e minimalista. Stile tradizionale Giapponese, stile occidentale. Fiori, cemento, mattoni rossi, plastica. Qualche negozio strano qua e là. In questo posto potrei fotografare qualsiasi cosa.







Ci siamo fermati in un caffè-libreria che vendeva principalmente libri di arte e fotografia, uno di quei posti dove potrei andare ogni giorno a bere un tè e fare discorsi colti con il proprietario.




Non ricordo bene di cosa abbiamo parlato, una di quelle conversazioni tipiche che fai con qualcuno quando ci parli per la prima volta..di tutto. E io non lo sapevo, ma a quanto pare in quel momento stavo distruggendo uno ad uno tutti i tuoi preconcetti.Nice to meet you.




Mi ha chiamata ancora, Harajuku, un pomeriggio in cui ero sola. Ho deciso di farle fare amicizia con la mia macchina fotografica, che non sarà professionale ma almeno ha cercato di guardare un po' oltre la strada principale.










Una sera mi sembra fossimo delusi, credo sia così che è iniziato. Shibuya si era presa gioco di noi e ci aveva rovinato la serata, con la sua stazione affollata dove è un po' stupido darsi appuntamento il sabato sera all'Hachiko exit con qualcuno che non ha il cellulare. Non ricordo davvero come, ma siamo finiti sul ponte di Harajuku a chiacchierare, e io credo di aver perso l'autobus a Kawaguchi quella sera, e di aver diviso un taxi con un attonito salaryman che si chiedeva cosa cazzo ci facesse una 23enne bionda a Mine-Hachimangu. Mi ricordo che ti ho chiamato per raccontarti tutto e tu eri preoccupato per me, e io mi voltavo a guardare questo ometto di mezza età alto un metro e sessanta che molto educatamente faceva finta di non fissarmi e ridevo. E' stato surreale.




Da quella volta, abbiamo iniziato ad andarci sempre. Nel tardo pomeriggio prima di trovarci con qualcuno in qualche izakaya, di sera prima di prendere l'ultimo treno per tornare a casa, la mattina alle 5 dopo una nottata di karaoke..c'era un bar con tavolini all'aperto vicino all'entrata per il tempio, piuttosto raro a Tokyo. Lì facevamo discorsi infiniti, intervallati dalle bestemmie contro  "the fuckin' semi", le cicale che facevano un casino ultrasonico, che ci sono ma non si vedono-e credimi è meglio così perché fanno abbastanza schifo-ma come diavolo ha potuto pensare la Parisi di dedicare una canzone a questi esseri infami?
Verso sera l'entrata al tempio Meiji Jingu viene chiusa, ci sfrattano dal nostro tavolino e noi ci accampiamo sul ponte, nel nostro solito posto, seduti contro il muro a guardare la gente che passa e Shibuya in lontananza, qualche artista di strada, l'angolo fumatori sempre tirato un cesso dopo una certa ora, che il giorno dopo tornava perfettamente pulito, come sempre.
Le musichette e gli annunci del binario sotto di noi scandivano il tempo che non vedevamo passare. Avanti e indietro dal konbini e dalla stazione a rompere le palle all'amico douzo-douzo, a cui bastava dire "toilet" per farsi aprire le porte senza mostrare nessun biglietto. "proprio come in Europa.."
Ogni volta che non si sapeva cosa fare era "ok, so what about we have a beer on the Harajuku bridge first, and then figure out what to do with the night?"
Funzionava sempre.





Era l'unico posto dove il tempo poteva fermarsi, o almeno rallentare, più delle izakaya, più della mia casa. C'è bisogno di un posto così a Tokyo, una città così egoista che non ti lascia spazio per pensare a te, che ti costringe a seguire un ritmo folle per la paura di perderti anche un solo attimo.
Adoravo la sensazione di potermi fermare e riflettere, parlare, osservare. Passavo ore a descrivere quello che vedevo nei tuoi occhi e nel tuo sorriso, tu ascoltavi meravigliato. Mi hai sommerso di parole che mettevano a nudo la tua anima, mentre la gente continuava a passare senza notarci e noi ci chiedevamo se stare lì per terra fosse una cosa da baka gaijin o no.






E' stato l'ultimo posto dove siamo stati prima di andare via, l'ultimo giorno, quel lunedi bastardo come non ne vedevo da tempo. Il giorno in cui abbiamo deciso che se Tokyo doveva tenersi un pezzo di noi, beh, allora anche noi potevamo portare con noi un pezzo di Tokyo.


Di tutti i posti in cui sono stata, non c'è storia. E' quello dove vorrei essere in questo momento.



mercoledì 15 settembre 2010

FUCKIN' F.A.Q.

Prima di partire per il Giappone, c'era una cosa di cui avevo paura, ed erano i commenti/domande che ti fanno sempre tutti quando viaggi in un paese lontano. Con la scusa che vivo in un paesino imbucato in mezzo alle montagne, poi, chissà che assurdità mi tirerà fuori la gente, pensavo. Avevo una mezza idea di fare una classifica dei commenti più assurdi da pubblicare sul blog. Avevo, perché in realtà sono rimasta alquanto delusa.
Pensavo che la gente avesse più fantasia, invece nel 90% dei casi mi sono sempre sentita dire la stessa frase..c'è da dire però, che almeno è una frase che non mi aspettavo di sentire. Insomma, a parte delle piccolissime minoranze che hanno reagito con frasi tipo "vai in Giappone? Brava, così si fa!" oppure "e cosa ci vai a fare fino in Giappone? A studiare?? ben ben....." e un solo caso in cui mi è arrivato un bellissimo "cosa ci andrai mai a fare in Giappone..a prendere malattie!" dicevo a parte questi pochi casi isolati, la conversazione tipo è  SEMPRE stata questa:

Persona: E allora cosa combini di bello?
Io: Eh, vado un mese in Giappone..
P.: Ma dai! Wow, il Giappone, figata..
Io: eggià..
...
...
...
P.: Ma con chi ci vai?
Io: beh da sola.
P.: (con espressione mista tra il terrorizzato e l'ammirato) Davvero?????? NNNOOOO! Eeeh, che coraggio...

Allora. Io ho provato a immaginare quale dev'essere l'immagine che la gente normale (leggi "quelli che non sono irrimediabilmente presi via per il Giappone") abbia del paese del sol levante, per tentare di capire cosa ci debba essere di tanto spaventoso per renderla un'impresa così eroica ai loro occhi. Che sia il volo? Una dozzina (se va bene) di ore in aereo possono spaventare, ma perché tutto questo scandalizzarsi per il fatto che vado da sola? Dev'essere proprio qualcosa del Giappone...mah. Ripenso al mese che ho passato a Tokyo a svolazzare leggiadra di Conbini in Combini, a camminare da sola per strada a tutte le ore e a non fare un passo senza sentirmi ripetere che attenzione, oltrepassare la linea gialla è abunai...e magari nel frattempo nella loro testa c'erano scene drammatiche di me che camminavo indifesa e impaurita in un vicoletto losco e buio con minacciose lanterne rosse e ubriaconi che mi guardavano storto, le ombre dei ninja killer che mi inseguivano silenziosi saltando sui tetti sopra di me e tanuki in ogni angolo pronti a violentarmi e saccheggiarmi..chissà.

La vera sorpresa invece sapete quando è stata? Quando sono tornata! Se all'andata erano stati poco fantasiosi, al ritorno sono stati decisamente più interessanti. Direi che la top five delle domande/commenti è stata questa:

1. Allora, racconta: ti sei divertita?/cos'hai fatto?
2. Hai mangiato tanto sushi?/mangiavi sushi tutti i giorni??
3. Sei tornata perché ti stavano venendo gli occhi a mandorla?
4. Ma è vero che ce l'hanno tutti piccolo?
5. Dimmi qualcosa in Giapponese!


E ora illustrerò il motivo per cui tutte queste domande mi stanno sulle balle:
1. Non è per la domanda in se, è che una domanda così generale, di solito rivolta in un contesto molto informale, del tipo che chi te l'ha fatta si aspetta che tu risponda con una frasetta e che poi lo lasci a finire la sua birra, non può avere una risposta breve. Per il semplice fatto che a) non esistono parole per descrivere quanto mi sono divertita e b) se davvero vuoi sapere cosa ho fatto devi prenderti un paio di giorni di ferie che poi ti racconto.
2. Che palle co ste domande sul sushi..cosa volete sentirvi rispondere? E anche seVOI del cibo giapponese conoscete solo quello, perché diavolo IO dovrei mangiare sushi tutti i giorni?
3. Non fa ridere.
4. Come se fossi andata in Giappone apposta per scoprirlo!
5. Tanto non lo capisci...no beh in realtà questa non mi da fastidio, solo che me l'hanno chiesto in tanti quindi ho dovuto inserirla nella top five.

Mi è venuto in mente che anni fa, quando avevo 16 anni e la cresta, la gente mi faceva sempre le stesse domande e io volevo comprarmi una maglietta strafiga che avevo visto su internet dove c'era scritto: Dai 15 ai 30 minuti-tutte le mattine-gel oppure colla-no, non puoi toccarla!
Se continua così mi faccio la stessa maglietta e ci scrivo una risposta standard per le domande di cui sopra, tipo:

-Tanto non ti interessa.
-Certo, lì non hanno mica altro, mangi solo sushi e alla fine entri nella dipendenza e cominci a mangiare anche le carpe dei laghetti nei parchi e ci sono anche i pusher del sushi, è un problema serio in Giappone, sai..
-No, sono tornata perché ho finito i soldi. E a conti fatti mi conveniva restare lì e diventare barbona così almeno mi risparmiavo di dover rispondere a una domanda così stupida.
-No, in realtà è una diceria messa in giro dalle donne giapponesi, perché sono tutti super-dotati e vogliono tenerseli loro. Invidioso?
-Uruseee, kuso yarou.


Che poi alla fine, non è tanto la domanda che mi da fastidio. In fondo quando non si sa si chiede, magari anche facendo domande stupide basate sugli stereotipi, ma è sempre un modo per informarsi. Quello che mi da fastidio davvero è come certa gente fa la sbruffona ed è convinta di sapere tutto. Ed è pervenuta.
Un esempio:

Persona: allora, hai mangiato qualcosa di strambo quando eri via?
Io: beh..una volta in un bar Mongolo ho bevuto latte di cavallo e shochu..
P.: latte di cavallo? bleeeeh che schifo!
Io: l'hai assaggiato anche tu?
P.: No!!
Io: ................

E alora tasi, direbbero i miei compaesani. Che fastidio.
Oppure, e qui mi rivolgo a tutti quelli che sono stati in Giappone, ditemi se almeno una volta non vi è capitato che vi facciano una domanda basata su un'informazione errata, del tipo "ma ti hanno fatto mangiare cane in Giappone?" e quando puntualizzate che, no, guarda, quelli al massimo potrebbero essere i cinesi, ecco che arriva bella bella la rispostona del secolo, due punti apertevirgolette:

"cinesi, giapponesi...tutti uguali."
Fermo lì. Parliamone..
Allora. Non è che io pretenda che tu sappia distinguermi un cinese da un giapponese, no, ci mancherebbe, questo è ovvio. Si trattasse di altri due popoli magari sarei io a non saperli distinguere, a confondere le usanze. Ma NON E' che perché TU non li sai distinguere, allora sono uguali. Che cazzo di discorso è? Non sai una cosa, e invece di essere umile e lasciartela spiegare, pretendi di sapere tutto perché tanto si sa che è così e nonmiromperelepalle che sono tutti musi gialli. La risposta giusta era "ah ma davvero? non lo sapevo.." no che son tutti ugiali, porco #########.
Ma questo era un piccolo esempio, non mi riferisco solo alla questione cina/giappone. Ci vuole così tanto a dire "non lo so"? E' così umiliante ammettere che non si è informati su qualcosa? Bisogna sparare minchiate colossali pur di far vedere che "si sa"? La maggior parte della gente si limita a prendere l'immagine che ha di qualunque cosa e a renderla assoluta. Non importa se l'hai studiato all'università o se te l'ha detto tuo cugino o se l'hai letto su wikipedia, tu hai sentito così quindi è così. E allora vai a chiederlo a Yahoo answers se si mangia cane in Giappone, e non rompere le palle a me.
Poi da questo nascono quegli episodi fra l'esilarante e il ridicolo che ogni tanto si vedono nella mia valle, di turisti che vengono qui e probabilmente pensanomontagna=scalare, e sono convinti di arrivare in un posto senza strade, pieno di mucche, contadini analfabeti e selvaggia vegetazione. E così ogni tanto capita di vedere per le vie del centro questi individui vestiti che sembra che debbano scalare l'Everest, con scarponi, racchette da passeggio o come si chiamano, corda e i più audaci anche il cappello da alpino, e in quel momento ti parte la scenetta immaginaria tipo Scrubs, tutto diventa buio, si accende un faro su codesto individuo e la voce del presentatore dice "signore e signori...ecco a voi UN PIRLAAAAAAAAAAA!"

Ma torniamo a noi.
Sul serio gente, svegliatevi. Basta credere che solo perché abbiamo visto un film o letto una cosa su internet sappiamo tutto di tutto. Via quell'arroganza e smettiamola di fare figure di merda, accettando che su certe cose c'è chi ne sa più di noi. C'era qualcuno che diceva lei è ignorante nel senso che ignora, e si sentiva rispondere lei è imbecille nel senso che imbelle...
Non so voi, ma io preferisco darmi dell'ignorante da sola che farmi dare dell'imbecille dagli altri.