martedì 16 novembre 2010

I'm from a small town in the Dolomites, you probably never heard of it

Stai andando a prendere tuo fratello a scuola, la circonvalla è vuota. Oggi c'è un cielo blu che se ne sbatte del novembre inoltrato, e tu pensi finalmente.
Lo sguardo inizia a vagare e cade sul campanile e sui tetti del tuo paesino, il giallo il rosso il verde degli alberi ovunque. Guardi dritto davanti a te e, avvolte dall'autunno, loro sono lì, al loro posto, dannatamente belle.
E la domanda che sorge in questi momenti è sempre la stessa: "che cosa c'è che non va?"
Ti torna in mente quella volta quando eri in Finlandia, e scendevi dalle scalette sommerse dalla neve giù dall'unica collina di Tampere.
"Miina, lo sai che vivi in un posto stupendo?"
"haha. Sì beh, la collina è un posto un po' VIP dove vivere, siccome è fuori dal centro ci sono tutte le casette di legno colorate con il camino eccetera, un po' come te l'aspetti. Ma in realtà le case vere giù in città sono diverse...qui è un po' come vivere in una cartolina".
E pensi. Ma vivere in una cartolina..non è un po' un controsenso?

Ecco cosa c'è che non va.


I got so many problems

and they weigh on my mind
I don't solve 'em, no, I just cause them
and they weigh on my mind
-Transplants-

mercoledì 10 novembre 2010

Get addicted

Da quando ci siamo incontrate mi hai spinta al limite di tutto, vuoi farmi provare tutti gli estremi.

Non capisco nemmeno se sono io ad essere avida di te o se sei tu a volere disperatamente tutte le mie attenzioni.
Ho visto strade infinite costellate da persone luccicanti, vicoli e treni infestati da marionette barcollanti in camicia e cravatta. Sono salita in alto per vederti meglio per vederti tutta, ma sei troppo immensa, Tokyo, sei ingestibile.
Ricordi quelle notti in cui mi devastavo per te? Non avrei mai voluto dormire, non volevo perdere neanche un istante. Arrivavo sempre al limite, e ogni volta era così bello, sapere che non avevo sprecato neanche un secondo. Andavo avanti, sveglia sveglia sveglia fino alla fine, finché letteralmente, invece di addormentarmi svenivo.

Penso a due tatuaggi uguali. Uno ha fatto un male indescrivibile, l'altro non poi così tanto. Uno è già guarito da un pezzo, l'altro ci sta mettendo molto di più. Come i miei pensieri che non vogliono staccarsi da te. 




Some people are poison
under my skin like opium
and I'll stare in their eye to annoy them
well they're poison, yeah they're poison

mercoledì 3 novembre 2010

Why not?

Se quella volta mi fossi fermata.
Se quella volta non avessi voluto rischiare.
Se quella volta avessi rimandato.
Se quella volta avessi avuto paura.

Non avrei visto quella stupenda isoletta del Western Australia dove io e Gem bevevamo sedute sul prato, con un pavone che camminava dietro di noi e i quokka che volevano mangiarmi le dita

Non avrei mai testato i miei limiti, quando il più proibito dei miei desideri è passato da 13.000 km a due millimetri esatti dalla mia bocca e ho fugato ogni dubbio con un "get the fuck out of here"

Non mi sarei trovata a mangiare toast con la vegemite in un paesino in culo alla Baviera

Non sarei finita a Tampere a casa di una finlandese mezza estranea conosciuta cinque mesi prima in Inghilterra a fare la sauna nude nell'inverno più freddo e più sensato della mia vita

Non avrei vissuto l'estate più pazza e malata di sempre, un delirio lungo da maggio a settembre, iniziata con una notte in bianco e finita con un'overdose di redbull

Non mi sarei ritrovata in un letto di un'enorme casa australiana a bere coca-cola alle 3 di notte cercando di ignorare la persona che era nella stanza vicina alla mia, imparando lezioni di vita

Non avrei passato cinque giorni gratis a Londra dormendo in uno squat

Non avrei un tatuaggio fatto da un tatuatore di yakuza

Non avrei preso l'accento australiano

Non avrei perso l'accento australiano e preso un po' di accento californiano

Non avrei perso l'accento californiano e preso quello britannico

Insomma non avrei un accento inglese osceno, indefinito e in costante mutamento in base alle persone con cui parlo

Non starei imparando il giapponese da sola

Non avrei preso quei colpi all'orgoglio e quella notte sarei stata a casa mia a dormire, invece che in un bagno tedesco a piangere

Non avrei fatto incubi in cui persone tradite mi picchiavano

Non avrei mai imparato ad amare il cider e non avrei passato degli agosti stupendi al rebellion festival

Non avrei mai imparato come si viaggia davvero

Non avrei mai fatto una cosa così stupida come sfidare Tokyo a chi stava sveglia più a lungo

Non sarei mai capitata in una delle discoteche più grandi di tutta l'Asia (io che ADORO le discoteche)

Non avrei imparato ad ammettere i miei errori the hard way

Non mi sarei mai addormentata con un brasiliano nella stazione della metro di Piccadilly Circus

Non avrei mai passato quella serata con un ragazzo fighetto e un po' poser che dopo mesi ho scoperto essere il fidanzato di Kelly Osbourne

Non avrei un ricordo così forte della canzone "for you" degli Anti Nowhere League

Non starei tutto il giorno a giocare con il mio piercing londinese

Non avrei fatto tutto quel male a chi non se lo meritava

Non avrei mai capito che in due mesi mi stavo fottendo l'identità

Non avrei conosciuto un mitico ometto circa-quarantenne di L.A. ma clandesetino in Inghilterra con due creste e piercing perennemente infettati di nome Troll

Non avrei vissuto mesi con tre fusi orari diversi perché le persone che volevo vedere erano sempre in un continente diverso dal mio

Sognerei solo in italiano

Non avrei problemi di traduzione da quando penso a quando parlo

Non capirei niente, ma niente, niente, NIENTE della vita

Odierei ancora le persone

Non avrei mai scoperto che la selezione di birre che hanno nei pub a Bruxelles non è molto più vasta di quella che ha il Fabio al Sangrillà

Non mi si sarebbe bloccata la crescita a sentire due norvegesi che raccontavano barzellette sui bambini morti

Non sarei rimasta fregata, ma talmente fregata che riderei perfino, se non fosse che quella che è stata fregata sono appunto io

Non avrei mai imparato quella figata di drinking game che è Dreizen

Ai Rancid non fischierebbero le orecchie così spesso
Non avrei mai sofferto. Non avrei mai vissuto.

"Dove finisce la noia, lì 
Inizia un mondo difficile."

martedì 2 novembre 2010

Voglio vivere a Shimokitazawa.

Ci si arriva da Shinjuku o da Shibuya.
Uno di quegli edifici un po' vecchi e pieni di scalette, nè bello nè moderno, ma uno di quelli a cui ci si affeziona con il tempo.
Appartamentino in stile giapponese, a terra tatami un po' consumati e futon da togliere durante il giorno per fare spazio. Tavolino con dei cuscini comodi dove studiare e chiacchierare con gli amici la sera prima di uscire, davanti a una birra e agli immancabili edamame.
Qualche vicino simpatico, qualcuno rompiballe. La signora del secondo piano che si lamenta per il chiasso e il vecchietto della porta accanto che ti regala dolcetti e storie di vita, e ti fa sempre ritardare a scuola la mattina.
Scale che danno sul tetto, uno di quelli piatti che si vedono sempre nei film. Sere e sere passate a chiacchierare e guardare il tempo che passa dall'alto. Tu, un amico, dello shochu e il cielo di Tokyo.
Il piccolo parcheggio davanti all'entrata, dove fermarsi per le ultime chiacchiere prima di andare a dormire. Il distributore automatico dall'altra parte della strada dove rifornirsi di Calpis ogni mattina e l'izakaya all'angolo dove diventi cliente abituale e amico del proprietario.
Conoscere tutte le livehouse e i musicisti del quartiere, partecipare all'awa-odori con i tuoi amici schizzati e tenersi informati sui concerti della scena undergroud andando a vedere i manifesti nel negozietto alternativo dietro la stazione.


"tu non vorresti vivere in un posto così?"

Shimokitazawa non è un quartiere molto famoso, e neanche molto vicino alla zona centrale di Tokyo. E' fatta di stradine strette piene di negozi vintage e di dischi usati, di scarpe e vestiti strani, ci sono i negozietti hippy e quelli afro. Questo posto funziona a modo suo e non c'è niente di scontato. Sono entrata in un negozio di vestiti per ragazze"acqua e sapone" e dentro mettevano musica black metal. Nell'aria c'è musica e mille odori, buoni, strani, forti, terribili.
Le persone che ci trovi sono particolari. Ho visto musicisti e gente che parlava da sola, quindicenni che mi squadravano con diffidenza e vecchi rasta dagli abiti logori che parlavano al cellulare fuori dall'uscita sud. Ragazzine dall'aspetto innocente che entrano eccitate nei negozi di bong, magliette offensive a livelli inverosimili e altre che mi facevano sorridere, tipo una che mi è rimasta impressa che diceva "Jesus Christ fucking died for you!"
Ho trovato un izakaya in un vicoletto marcio vicino alla stazione, il nome era scritto sul muro in piccolo con un pennarello. Era solo un bancone con 6-7 posti, niente aria condizionata, buio e fumoso ma in un modo accogliente. Il proprietario ha 26 anni e ha brindato con me quando mi ha servito la birra. Quando Laurin gli ha chiesto se poteva comprare delle sigarette lì vicino lui ha mollato il bar, è uscito ed è andato a comprargli un pacchetto. Ha  un gran televisore con un sacco di dvd incastrati in delle mensole polverose, quando siamo entrati ha messo coffee and cigarettes..c'è un che di surreale a a trovarsi in uno degli izakaya più imbucati di Tokyo a conversare in giapponese con Benigni sullo sfondo.
Siamo solo noi, il proprietario e un altro cliente giapponese, beviamo e parliamo. Verso sera entra una ragazza, capelli scompigliati, trucco un po' rovinato e li sguardo di chi ha avuto una brutta giornata. Ordina una birra chiamando il padrone per nome e si lamenta per il caldo. Continuo la conversazione su Baudelaire che stavo facendo, ogni tanto le lancio uno sguardo, è lì imbronciata che fissa il vuoto.
Quando meno me l'aspetto sento qualcuno toccarmi il braccio, è lei, e ha fatto scivolare qualcosa sul bancone verso di me. Sono due cerotti con sopra dei disegnini kawaii, con pupazzetti e stelline e fiorellini. "It's a present" dice con aria serissima, "if you get hurt, please use".
Da lì cominciamo a parlare, qualche parola in inglese, un po' di giapponese e un po' di francese visto che lei ha vissuto a Parigi. Ogni tanto non riesce a spiegarsi bene e allora le scappa una risatina timida, poi ritorna seria. Le racconto un po' del perché sono lì, lei vuole sapere perché mi piace il Giappone, come tutti gli altri, me lo chiede con quell'aria di chi proprio non capisce. Però non mi dice che parlo bene il giapponese, cosa che invece fanno tutti appena ti sentono dire una parola. Lo apprezzo.
Lei mi racconta che è una fashion designer e che disegna e confeziona costumi per l'opera e cose del genere. Potrei osservarla per ore. Non mi dice perché è di cattivo umore, ad un certo punto la conversazione finisce e lei semplicemente si alza e cambia posto, lamentandosi per il caldo, squadrandomi con lo stesso sguardo infastidito di quando era entrata, come se non ci fossimo mai parlate. Io tengo ancora in mano il suo regalo.
Se fossimo stati in Europa e lei avesse voluto parlare con me, avrebbe potuto chiedermi di dov'ero o dove avevo comprato le mie scarpe, oppure offrirmi una sigaretta o dirmi che le piacevano i miei orecchini.
Invece eravamo in quell'izakaya buio e fumoso di cui non ricordo il nome e mi ha regalato dei cerotti colorati.

Non lo so il perché, ma voglio vivere a Shimokitazawa.