giovedì 14 ottobre 2010

"Guarda che per un po' non la troverai a casa. E' sempre all'ospedale delle anime a far visita al suo orgoglio, hai sentito?
Si è schiantato mentre andava a 300 all'ora..brutta storia.
No, dicono che col tempo guarirà."


Curioso come il fabbisogno di persone di qualcuno cambi a seconda del suo umore.
Ci sono delle volte in cui hai un bisogno estremo di avere vicino una persona a cui tieni, che conosci, che ti conosce. Che sa il perché delle tue reazioni. Che sa, delle tue debolezze e dei tuoi problemi. Che sa cosa fare per farti stare meglio. La sua presenza ti fa sentire te stesso.

Invece a volte essere te stesso è troppo difficile di fronte alle persone che ti conoscono, proprio perché sanno troppo. A volte vuoi solo stare con qualcuno che non sappia, che non ti conosca, un estraneo. Qualcuno a cui non c'è bisogno di giustificare niente, che ti conosca solo per come sei in quel momento. Ti fa sentire più leggero, come se potessi far venire a galla solo le parti di te che preferisci.

Infine ci sono i momenti dove stai bene semplicemente da solo. Quando attorno a te non hai bisogno di altro che del vuoto. Quando le frasi che hai da dire non sono per nessuno, vanno tenute lì, vorticanti dentro la tua testa.
Quando vuoi osservare. Quando il tuo confidente silenzioso diventa il mondo esterno.

Sta arrivando il freddo, sono tempi duri e io mi sento indestructible.
Sto bene, ma in una maniera strana.

lunedì 11 ottobre 2010

E tu? Qual è la cosa per cui preghi ogni giorno?

Tokyo è una città, ma non ha un centro.
Qualsiasi cittadino italiano o europeo sarà certamente abituato alle città con i centri, dove di solito c'è un duomo, o un palazzo, o un qualsiasi monumento costruito svariate centinaia di anni prima che se ne sta lì, nel 2010 come nel 1600, e osserva silenzioso i ragazzini che mandano messaggi dall'i-phone come guardava le carrozze dei nobili passare 400 anni prima. E da lì parte il centro della città.
Tokyo non ce l'ha un centro, e questa è una cosa che per me fa una differenza enorme. Tokyo è nata da un insieme di villaggi, ognuno con i cazzi suoi, che sono stati agglomerati a formare quello che oggi si presenta come un gigante frullato di frenesia umana. Spettacolare.
Quindi succede che quei villaggi adesso sono dei quartieri, ognuno con il suo stile e i suoi negozi e la sua gente e la sua musichetta personalizzata nelle fermate della metro, altro che duomo. In base al tuo umore e a quello che hai voglia di fare scegli il quartiere dove andare. Tipo, vuoi fare shopping di vestiti, vai a Shibuya. Vuoi qualche ultimo ritrovato tecnologico o roba da geek o anime-related, vai ad Akihabara. Vuoi vedere stranieri, vai a Roppongi. Vuoi vedere Templi, vai ad Asakusa. Vuoi perderti, vai a fucking Shinjuku. Eccetera. Potrei andare avanti per ore, e non ho ancora elencato niente. Chi è stato a Tokyo sa cosa intendo.
Quando sei qui è inevitabile, dopo un po' cominci a capire come funziona, e inizi ad avere il tuo posto preferito per tutto.

E alla fine succede così, che giorno dopo giorno lo decidi tu, qual'è il centro della città.

Ed era Shibuya, con quell'incrocio dov'è cominciato tutto. La mia storia con Tokyo.
Era quel karaoke di Shinjuku dove cantavo seduta sul davanzale della finestra le mie ballate rock ai grattacieli luccicanti che c'erano tutt'intorno.
Era il ponte di Harajuku, dove è cominciata una storia diversa. Dove le parole e il sapore di Asahi in bocca contavano più di quello che succedeva nel mondo reale.
Era quello scantinato insospettabile sotto i palazzoni di Kabukicho, con i divanetti neri e i riff di chitarra e tutte quelle persone vere. La dimostrazione della potenza della musica.
Era la terrazza della scuola da dove  sfidavo il caldo rovente per 10 minuti di svago. E le risate migliori della mia vita.
Era il piccolo parcheggio davanti alla Sakura house di Shin Okubo, con le hanbaiki e i neko-chan, e Nick che spuntava fuori nelle ore più assurde con dello shochu alla frutta o dei fuochi d'artificio. Quella sera che andavo in giro a piedi nudi.

Ho salutato prima lui, e Tokyo per ultima. Non avevo idea del poco che ci avrebbe messo la mia vita "vera" a prendermi a pugni in pieno viso, mentre correvo per non perdere un treno su cui neanche volevo salire. Sull'ultimo binario della mia vita tokyota, mi ricordo il caldo il sonno le occhiatacce a degli italiani casinisti. Il viaggio di ritorno è confuso, non mi sono presa la briga di fissarlo nei miei ricordi. Ma c'è un momento che mi è rimasto impresso. Ero a Roma, aspettavo il volo per Venezia. Al gate mi sono automaticamente seduta nell'angolo più lontano da tutti, per terra vicino alla vetrata come piace a me, anche se questa volta non guardavo il cielo. Ho tirato fuori il mio cellulare giapponese e l'ho acceso. La foto del ponte di Harajuku è comparsa ancora una volta sullo schermo, così come l'avevo vista ogni giorno. Ma al posto delle tacche di ricezione del segnale, un crudele OUT mi tagliava fuori dalla mia vita giapponese.

Mi sento OUT da tutto. Gente che mi passa accanto, mi prende e mi trascina prepotentemente nella sua vita per tappare un buco e poi mi ributta fuori. La costante sensazione di essere costretta ad indossare una maschera. E la rabbia nel vedere come chi sembrava mio alleato si è già adeguato, senza sforzi. Non ha più ricordi.



I could not fit in
I was the one who got caught
I was the one who got realized
I was the one who got dropped
shut up, banished, locked away
the knife that did me in, I carry to this day.
REJECTED

crossing bridges in the land of the forgotten.


sabato 9 ottobre 2010

誕生日 Tanjoubi

Dunque, nel lontano..................quando avevo 14 anni, ho ascoltato per la prima volta i Blink 182. Perché i Blink 182 sono un gruppo che va ascoltato quando hai 14 anni, è così, come la prescrizione del medico, forse c'è scritto anche sui loro cd. "ascoltare entro e non oltre anni 14 dalla nascita".

Oggi, 9 ottobre 2010, 9 anni dopo. E' un giorno importante. Perché oggi, 9 ottobre 2010, a partire dalle ore 00.01, acquisisco finalmente la facoltà di poter cantare questa canzone con cognizione di causa:



...nobody likes you when you're 23...

sabato 2 ottobre 2010

Let me take you by the hand...

..and lead you through the streets of Harajuku.




3.00 p.m. vs. 5.00 a.m. 

Mi ricordo di quando leggevo di Tokyo. Harajuku l'avevo snobbata quasi subito. All'inizio pensavo fosse un posto alternativo, poi è finita per sembrarmi sempre di più una brutta copia giapponese della Camden Town di Londra, con aggiunta di ragazzine che il weekend si vestono in modo stravagante per farsi fotografare dai turisti. In qualche modo però, sono sempre rimasta affascinata da questo quartiere, mi dava la sensazione che ci fosse qualcosa di più da scoprire...da capire.
La prima volta che l'ho vista è stato in un'allucinazione. Non dormivo da 30 ore e avevo il dubbio costante di essere svenuta senza essermene accorta, eppure Takeshita street era lì, con una stupida faccia da clown sull'insegna e dei palloncini colorati, un fiume di gente che avrebbe potuto inghiottirmi e sembrava che mi chiedesse "allora? Come ti sembro dal vivo?".
Il ponte di Harajuku non era molto affollato, ricordo sagome colorate che avrebbero dovuto essere persone, e l'ultimo sforzo per conservare quel fotogramma nella mia mente.
Nonostante tutto le immagini del primo giorno, quello senza macchina fotografica, le ricordo bene.
La seconda volta che l'ho vista è stato il giorno dopo. Ci siamo avviati sotto il clown assieme alla folla, colorata e non, studenti-bambini-cosplayer-turisti, non conoscevo loro e non conoscevo te. Ti ho seguito fino ad Harajuku street, e poi ancora fin dentro alla zona residenziale dove di turisti non se ne vedono più. Che case incredibili, qui ognuno ha pensato ad uno stile e ha costruito una casa, si fotta la paesaggistica, tanto Tokyo è fatta così. Un edificio stile vittoriano rosa e bianco vicino ad un casermone grigio, cubico e minimalista. Stile tradizionale Giapponese, stile occidentale. Fiori, cemento, mattoni rossi, plastica. Qualche negozio strano qua e là. In questo posto potrei fotografare qualsiasi cosa.







Ci siamo fermati in un caffè-libreria che vendeva principalmente libri di arte e fotografia, uno di quei posti dove potrei andare ogni giorno a bere un tè e fare discorsi colti con il proprietario.




Non ricordo bene di cosa abbiamo parlato, una di quelle conversazioni tipiche che fai con qualcuno quando ci parli per la prima volta..di tutto. E io non lo sapevo, ma a quanto pare in quel momento stavo distruggendo uno ad uno tutti i tuoi preconcetti.Nice to meet you.




Mi ha chiamata ancora, Harajuku, un pomeriggio in cui ero sola. Ho deciso di farle fare amicizia con la mia macchina fotografica, che non sarà professionale ma almeno ha cercato di guardare un po' oltre la strada principale.










Una sera mi sembra fossimo delusi, credo sia così che è iniziato. Shibuya si era presa gioco di noi e ci aveva rovinato la serata, con la sua stazione affollata dove è un po' stupido darsi appuntamento il sabato sera all'Hachiko exit con qualcuno che non ha il cellulare. Non ricordo davvero come, ma siamo finiti sul ponte di Harajuku a chiacchierare, e io credo di aver perso l'autobus a Kawaguchi quella sera, e di aver diviso un taxi con un attonito salaryman che si chiedeva cosa cazzo ci facesse una 23enne bionda a Mine-Hachimangu. Mi ricordo che ti ho chiamato per raccontarti tutto e tu eri preoccupato per me, e io mi voltavo a guardare questo ometto di mezza età alto un metro e sessanta che molto educatamente faceva finta di non fissarmi e ridevo. E' stato surreale.




Da quella volta, abbiamo iniziato ad andarci sempre. Nel tardo pomeriggio prima di trovarci con qualcuno in qualche izakaya, di sera prima di prendere l'ultimo treno per tornare a casa, la mattina alle 5 dopo una nottata di karaoke..c'era un bar con tavolini all'aperto vicino all'entrata per il tempio, piuttosto raro a Tokyo. Lì facevamo discorsi infiniti, intervallati dalle bestemmie contro  "the fuckin' semi", le cicale che facevano un casino ultrasonico, che ci sono ma non si vedono-e credimi è meglio così perché fanno abbastanza schifo-ma come diavolo ha potuto pensare la Parisi di dedicare una canzone a questi esseri infami?
Verso sera l'entrata al tempio Meiji Jingu viene chiusa, ci sfrattano dal nostro tavolino e noi ci accampiamo sul ponte, nel nostro solito posto, seduti contro il muro a guardare la gente che passa e Shibuya in lontananza, qualche artista di strada, l'angolo fumatori sempre tirato un cesso dopo una certa ora, che il giorno dopo tornava perfettamente pulito, come sempre.
Le musichette e gli annunci del binario sotto di noi scandivano il tempo che non vedevamo passare. Avanti e indietro dal konbini e dalla stazione a rompere le palle all'amico douzo-douzo, a cui bastava dire "toilet" per farsi aprire le porte senza mostrare nessun biglietto. "proprio come in Europa.."
Ogni volta che non si sapeva cosa fare era "ok, so what about we have a beer on the Harajuku bridge first, and then figure out what to do with the night?"
Funzionava sempre.





Era l'unico posto dove il tempo poteva fermarsi, o almeno rallentare, più delle izakaya, più della mia casa. C'è bisogno di un posto così a Tokyo, una città così egoista che non ti lascia spazio per pensare a te, che ti costringe a seguire un ritmo folle per la paura di perderti anche un solo attimo.
Adoravo la sensazione di potermi fermare e riflettere, parlare, osservare. Passavo ore a descrivere quello che vedevo nei tuoi occhi e nel tuo sorriso, tu ascoltavi meravigliato. Mi hai sommerso di parole che mettevano a nudo la tua anima, mentre la gente continuava a passare senza notarci e noi ci chiedevamo se stare lì per terra fosse una cosa da baka gaijin o no.






E' stato l'ultimo posto dove siamo stati prima di andare via, l'ultimo giorno, quel lunedi bastardo come non ne vedevo da tempo. Il giorno in cui abbiamo deciso che se Tokyo doveva tenersi un pezzo di noi, beh, allora anche noi potevamo portare con noi un pezzo di Tokyo.


Di tutti i posti in cui sono stata, non c'è storia. E' quello dove vorrei essere in questo momento.